1986 – Il Vangelo secondo Matteo
<< Torna all'elencoRegìa: Pier Paolo Pasolini
Paese di produzione: Italia, Francia
Anno: 1964
Genere: Drammatico, storico
Durata: 137 min
Dati tecnici: B/N
Lingua: Italiano
Soggetto: Vangelo secondo Matteo
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini
Produttore: Alfredo Bini
Casa di produzione: Arco Film (Roma) / Lux Compagnie Cinématographique de France (Parigi)
Distribuzione in italiano: Titanus Distribuzione S.p.A.
Fotografia: Tonino Delli Colli
Montaggio: Nino Baragli
Musiche: Luis Bacalov; estratti da Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, Sergej Prokofiev, Anton Webern e canti gospel
Scenografia: Luigi Scaccianoce, Dante Ferretti
Costumi: Danilo Donati
CAST
Enrique Irazoqui: Cristo
Margherita Caruso: Maria da giovane
Susanna Pasolini: Maria anziana
Marcello Morante: Giuseppe
Mario Socrate: Giovanni Battista
Settimio Di Porto: Pietro
Otello Sestili: Giuda Iscariota
Ferruccio Nuzzo: Matteo
Giacomo Morante: Giovanni apostolo
Giorgio Agamben: Filippo
Luigi Barbini: Giacomo di Zebedeo
Amerigo Bevilacqua: Erode il Grande
Francesco Leonetti: Erode Antipa
Eliseo Boschi: Giuseppe di Arimatea
Ninetto Davoli: un pastore
Natalia Ginzburg: Maria di Betania
Enzo Siciliano: Simone
Alessandro Tasca: Ponzio Pilato
Paola Tedesco: Salomè
Rosario Migale: Tommaso
Alfonso Gatto: Andrea
TRAMA
Il film è una fedele rilettura del Vangelo secondo Matteo dal momento dell’Annunciazione alla Resurrezione di Gesù, ambientata fra i sassi di Matera, che gli permettono una trasposizione del mondo antico nel mondo moderno. La narrazione rimanda a una visione paleocristiana che nega ogni fiducia alla Chiesa come istituzione di potere, recuperando valori che appartengono ad altre ideologie, prima fra tutte il marxismo. Il suo Cristo eremita è il predicatore di una verità radicale, e la sua parola prende forma dalla lingua scritta della realtà; è una figura di Cristo più umana che divina, un uomo con moltissimi tratti di dolcezza, che reagisce con violenza all’ipocrisia e alla falsità.
NOTE
Il riferimento, in questo caso, è alla scrittura della Commedia e alla figura di Dante:
“Nei primi anni Sessanta, invece, Dante è diventato fonte di ispirazione di un certo “realismo figurale” nel cinema pasoliniano a partire dai concetti di figura e “contaminazione degli stili” di Erich Auerbach – come emerge chiaramente nella fase “nazional-popolare” del suo cinema che va da Accattone (1961) a Il Vangelo secondo Matteo (1964). In questi film la contaminazione degli stili, tradotta in ibridazione di pittura, musica, letteratura ed immagini in movimento, ha consentito associazioni semiotiche piuttosto radicali tra cultura alta e cultura bassa e, nello specifico, tra la figura di Cristo e quella del sottoproletariato. Sulla base di queste premesse, l’ipotesi di questo libro è che Pasolini abbia trovato in Dante — e più precisamente in alcune interpretazioni critiche della sua opera (in particolare quelle di Contini ed Auerbach) — un modello con cui rispondere, in ambito artistico, ad una domanda estetico-politica di grande rilevanza per il suo tempo: la rappresentazione dell’altro, il popolo. Che cosa significa “popolare” in poesia, narrativa, cinema? E qual è il ruolo dell’intellettuale/poeta che vuole rappresentare il popolo in modo realistico?
In questo discorso, è chiaramente cruciale per Pasolini la connessione tra l’esempio di Dante e quello di Cristo, in quanto entrambi rappresentano, come ricorda Auerbach, gli esempi, per eccellenza, di radicale contaminazione tra cultura “alta” e cultura “bassa”, tra la parola e la carne”. (Emanuela Patti, Pasolini After Dante. The ‘Divine Mimesis’ and the Politics of Representation, Legenda, Oxford, 2015).
Indica la chiave di lettura lo stesso Pasolini:
“La mia lettura del Vangelo non poteva che essere la lettura di un marxista, ma contemporaneamente serpeggiava in me il fascino dell’irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo. Io come marxista non posso spiegarlo e non può spiegarlo nemmeno il marxismo. Fino a un certo limite della coscienza, anzi in tutta coscienza, è un’opera marxista: non potevo girare delle scene senza che ci fosse un momento di sincerità, intesa come attualità. Infatti, i soldati di Erode come potevo farli? Potevo farli con i baffoni, i denti digrignanti, vestiti di stracci, come i cori dell’opera? No, non li potevo fare così. Li ho vestiti un po’ da fascisti e li ho immaginati come delle squadracce fasciste o come i fascisti che uccidevano i bambini slavi buttandoli in aria”.
Dedicato “alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII”. Premio speciale della giuria e altri 3 collaterali, tra cui quello dell’OCIC (cattolico) a Venezia; 3 Nastri d’argento 1965 (regia, fotografia, costumi); 3 candidature a Premi Oscar.