1921 – La Mirabile Visione
<< Torna all'elencoTitolo originale: La mirabile visione
Regia: Caramba (Luigi Sapelli)
Paese: Italia
Anno: 1921
Genere: drammatico
Lunghezza: 4.026 metri
Colore: bianco e nero
Audio: muto
Soggetto: Iconografia di Fausto Salvatori
Sceneggiatura: Caramba
Costumi: Caramba
Fotografia: Carlo Montuori
Produzione: Tespi Film, Roma
CAST
Dante Alighieri: Camillo Talamo
Arcivescovo Ruggieri: Gustavo Salvini
Arrigo VII: Luigi Serventi
Beatrice: Giovanna Scotto
Ugolino della Gherardesca: Ettore Berti
Corso Donati: Alfredo Boccolini
Francesca da Rimini: Carmen Di San Giusto
Bonifacio VIII: Ciro Galvani
Guido Cavalcanti: Lamberto Picasso
n.d.: Liliana Millanova
TRAMA
Realizzato per commemorare il VI centenario della morte di Dante, così come Dante nella vita dei tempi suoi, si divide in due parti.
La prima è ripartita in cinque episodi: La selva oscura, La crudeltà che fuor mi serra, Il veltro, Lo pane altrui e L’ultimo rifugio.
La seconda è divisa in tre episodi: “Amor mi mosse. Fiorenza. Rappresentazione della vita nova”; “Anime crudeli. Pisa. La tragedia dell’Odio. Il conte Ugolino”; e infine, “Anime affannate, Ravenna. La tragedia dell’amore. Paolo e Francesca.”
NOTE
Per l’epoca si trattò di un vero e proprio colossal, con una sorprendente durata di oltre due ore e mezza. Una copia del film è conservata alla Cineteca Nazionale di Roma: esistono anche la sceneggiatura originale e ventuno foto tratte dal film. Luigi Sapelli, il regista, è anche sceneggiatore e costumista del film.
Realizzata con l’impiego di grandi finanziamenti e pubblicizzata su diversi giornali e sulla stampa di settore, la pellicola uscì presto di programmazione e circuito nelle sale parrocchiali, con titoli diversi. Solo dopo che il Regime Fascista lo giudicò «strumento di alta propaganda spirituale e nazionale», La mirabile visione rientrò, nella seconda metà degli anni ‘20, nei circuiti cinematografici tradizionali, ricevendo attenzioni dalla stampa e recensioni lusinghiere come quella dello storico Gioacchino Volpe: «Caramba ha cercato ed è riuscito a parlare cinematograficamente con ‹‹viva evidenza››; è riuscito a far vedere come vestissero gli uomini e le donne di allora, quale aspetto avessero le città del ‘300, le case, le strade, i templi, quali fossero le usanze politiche e religiose, quale vampa di feroce spirito di parte dividesse le genti della stessa città (…) E tutto questo ha fatto, cercando di attenersi il più possibile allo spirito dei pittori contemporanei di Dante o subito posteriori; Giotto, Lorenzotti, Duccio, senza soverchia stilizzazione, qual mal si sarebbe comportata ad una visione animata»